Contributo al dibattito sulla competenza digitale e il cellulare a scuola

Premessa

 

Non si svuota il mare con le mani. La connessione a distanza è uno dei tratti peculiari, strutturali, costitutivi del nostro tempo. La popolazione attuale è di oltre 8 miliardi di persone. Circa 5,68 miliardi di persone utilizzano cellulari, il 70% della popolazione mondiale. In totale risultano 7,3 miliardi di cellulari in circolazione. In Italia, il 93% della popolazione utilizza abitualmente un cellulare.

 

Le rivoluzioni industriali

 

Dal Settecento ad oggi l’Occidente in particolare, ma non solo, è stato attraversato da una catena di rivoluzioni scientifiche e produttive. Ogni rivoluzione un mix soluzioni tecnologiche, condizioni economico-sociali, forme innovative di organizzazione del lavoro, fonti energetiche, materie prime. Il vapore è stato alla base della prima rivoluzione industriale, dalla metà del Settecento alla seconda metà dell’Ottocento. L’elettricità, ma anche il motore a scoppio, alla base della seconda rivoluzione industriale, dalla fine dell’Ottocento agli anni Cinquanta del Novecento. Il computer e le telecomunicazioni della terza rivoluzione industriale dalla fine degli anni Cinquanta alla fine del Novecento. Sino all’attualità, tuttora in divenire, grazie a Internet, ai big data, all’intelligenza artificiale. Un modello che viene indicato come industria 4.0. Digitalizzazione e interconnessione. Quindi la quinta rivoluzione industriale, o Industria 5.0, più fondata sulla sostenibilità, sulla transizione ambientale, sulla responsabilità sociale della persona e dell’impresa.

 

Un nuovo luddismo?

 

Non c’è invenzione dell’uomo - che abbia dimostrato una qualche utilità - alla quale l’umanità abbia saputo o voluto rinunciare. Dall’invenzione del fuoco, per cucinare e riscaldarsi, sino ai microchip. Durante la rivoluzione industriale in Gran Bretagna c’erano i “luddisti”, i seguaci di Ned Ludd. Non ci sono prove certe della sua esistenza, ma il suo nome è legato alla narrazione di un operaio tessitore che distrusse un telaio nel 1779. Il luddismo divenne una forma di protesta contro la meccanizzazione, il lavoro alienato e seriale, si diffuse in Gran Bretagna nei primi decenni del XIX secolo e Ludd divenne un simbolo di questa forma di ribellione all'introduzione di nuove macchine nell'industria, distruggendole. Forme di luddismo immaginario si manifestano tuttora verso i prodotti dell’industria nel tempo dell’interconnessione.

 

Il progresso e i suoi limiti

 

Secondo Charles Baudelaire l’idea di progresso sarebbe “spenta come un fanale senza luce”. L’uomo moderno, un “disgraziato”, “ansimante”, per “la fretta e il panico”, “inghiottito nel traffico”. Con un’immagine cruda: il progresso, uno “scorpione” che, “stretto nel cerchio di fuoco, trafigge sé stesso con la sua coda”. Da parte sua Walter Benjamin ha spiegato che le rivoluzioni non sono “le locomotive della storia universale”; al contrario, “sono, sul treno dell'umanità viaggiante, il dar di piglio al freno dell’emergenza".

La coscienza dei limiti non è una novità. Non c’è più, se mai c’è stata, una linea continua e ascendente. C’è un percorso, irto di ostacoli, con il rischio, sempre incombente, di possibili fallimenti. E infatti: se confidiamo che una certa cosa non si ripeta più è proprio perché temiamo che la regressione, l’involuzione, il passo indietro, possano, di nuovo, verificarsi.

I nostri nonni avevano la sensazione che i loro figli e nipoti sarebbero stati meglio di loro. Non è più così. Quel nesso causale si è spezzato. Non si può guardare alle risorse, da quelle naturali a quelle economiche, senza questa consapevolezza.

 

Ritorno a Sant’Agostino

 

È ancora fresca l’eco dell’elezione del nuovo Pontefice, Papa Leone XVI, Robert Francis Prevost, agostiniano. Sant’Agostino, il maggiore pensatore della patristica, nato in Africa,Tagaste, il 13 novembre 354, morto a Ippona il 28 agosto 430 (Tagaste, attualmente, si chiama Souk Ahras, è in territorio algerino, situata a circa 70 km a sud-est di Ippona, odierna Annaba).

Sant’Agostino, contro il manicheismo dell’epoca, sosteneva che il male non esiste nel mondo ma dipende dalla volontà dell’essere umano. Il male si deve alla volontà dell’essere umano. Bene e male sono in ciascuno di noi: In interiore homine habitat veritas. Dio ha dotato l'uomo del libero arbitrio; e, proprio in quanto libero, l’essere umano può compiere il bene come il male.

Quindi in natura non ci sono né il bene né il male. Un leone sbrana la sua preda non perché è “cattivo”: ma perché risponde ad un istinto di sopravvivenza. Il serpente a sonagli morde, avvelena e inghiotte la sua vittima per lo stesso motivo e così via. La natura non è né buona né cattiva. Allo stesso modo le cose. I fondali dei mari o gli strapiombi delle montagne. Non esiste, come scrivono i giornali a seguito di un incidente, “la curva assassina”. Le cose intorno a noi non sono né buone né cattive, dipende dall’uso che ne facciamo. Un phon è ottimo se usato per asciugarsi i capelli, del tutto sconsigliabile portarlo con sé, acceso, dentro la vasca da bagno.

 

La realtà onlife

 

La contrapposizione tra virtuale e reale non spiega come stiano realmente le cose, neanche in campo educativo e didattico. I due ambiti possono essere complementari e completarsi reciprocamente. Un autore come Luciano Floridi[1] da tempo parla di onlife, uno spazio-tempo relazionale dove tutto è interconnesso. Non virtuale, ma reale. Quindi, cerchiamo di mettere da parte l’idea che vi sia una vita vera al di fuori della vita vera che siamo concretamente chiamati a condividere.

 

Le competenze europee per l’apprendimento permanente

 

La nuova prospettiva europea dell’educazione e, in particolare, le competenze chiave per l’apprendimento permanente, promosse dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 18 dicembre 2006 sono le seguenti:

1) comunicazione nella madre lingua;

2) comunicazione nelle lingue straniere;

3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;

4) competenza digitale;

5) imparare ad imparare;

6) competenze sociali e civiche;

7) spirito di iniziativa e imprenditorialità;

8) consapevolezza ed espressione culturale.

 

Riformulate, in data 22 maggio 2018, nel modo seguente seguente:

1) competenza alfabetica funzionale;

2) competenza multilinguistica;

3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria;

4) competenza digitale;

5) competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare;

6) competenza in materia di cittadinanza;

7) competenza imprenditoriale;

8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

 

In posizione centrale, sia nella versione del 2006, sia nella versione 2018, la competenza digitale, intesa come il saper utilizzare - con dimestichezza e spirito critico - le tecnologie nella società dell’informazione, per lo studio, il lavoro, il tempo libero, la comunicazione. Vale a dire: conoscenza delle tecnologie; consapevolezza delle opportunità e dei rischi d’uso; capacità di cercare, raccogliere, usare, in modo critico, le informazioni; attitudine riflessiva nei confronti dei mezzi d’interazione.

 

L’Atto di indirizzo

 

L’Atto di indirizzo del Dirigente scolastico è una novità della Legge n. 107 del 13 luglio 2015 e si riferisce al comma 14, punto 4, dell’art. 1, a proposito del Piano Triennale dell’Offerta Formativa. Spiega quanto segue: “Il piano è elaborato dal Collegio dei Docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il piano è approvato dal Consiglio di Istituto”. Il PTOF deve essere poi elaborato e deliberato dal Collegio dei Docenti entro il 31 ottobre.

Il mio primo Atto di indirizzo, dopo l’assegnazione, da parte dell’USR per l’Emilia-Romagna, all’IIS “Francesco Alberghetti”, in vista dell’a.s. 2022/2023, è stato illustrato nel primo Collegio dei docenti all’inizio di settembre 2022 e in esso si affermava con chiarezza il valore educativo della competenza digitale.

 

Anche il libro è una forma di didattica a distanza

 

È poco convincente ogni schematica frattura tra didattica a distanza e tradizione educativa. In fondo anche il libro è espressione di una comunicazione a distanza.

Nel capitolo Il libro come simbolo - in Letteratura europea e Medio Evo latino - Ernst Robert Curtius[2] ha raccontato come, nell’antica Grecia, non esistesse la sacralità della scrittura, né tanto meno del libro. Né in Omero, “eroe fondatore della letteratura europea”, né in Esiodo. È con Pindaro, e con i poeti tragici, che si giunge alla scrittura come mnemotecnica.

Infatti Ernst Robert Curtius ha poi aggiunto che la condanna della scrittura e del libro, espressa da Platone alla fine del Fedro, può dirsi perfettamente greca. Poi, in epoca successiva, la cultura è andata identificandosi nel volume. Il libro, presupposto per il recupero del passato, nell’Umanesimo.

L’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg accelera questo processo. La Riforma luterana assume rilievo anche con la traduzione della Bibbia, il libro dei libri. Galileo fonda la scienza moderna scrutando il gran libro della natura. Con l’Illuminismo settecentesco lo scibile viene ordinato per voci nell’Encyclopédie. Tramite il libro la scrittura può meglio esprimere una sua intima aspirazione: trasmettersi attraverso una comunicazione a distanza. Il libro è già, esso stesso, veicolo di questa relazione. Attraverso i secoli e i continenti. Centrale non nonostante l’innovazione tecnica ma grazie ad essa.

 

Gutenberg e Marconi

 

Un conflitto di civiltà tra la galassia Gutenberg e la galassia Marconi, secondo la suggestiva distinzione di Marshall Mc Luhan, è un nonsense. Meglio una reciproca compatibilità tra invenzione della stampa, produzione del libro e quella fase ulteriore, segnata dalla comunicazione a distanza che va dal telefono alla radio, dalla Tv al p.c. sino al cellulare. La storia della scrittura non finisce, anzi si rigenera nel reticolo multimediale.

La scuola, palestra di educazione, non deve ignorare o rimuovere questi problemi, ma li deve affrontare, nell’ambito della competenza digitale, insegnando ai propri studenti appropriatezza e responsabilità.

 

Educare all’autonomia

 

Cellulare sì o cellulare no? O forse sarebbe meglio chiedersi: cellulare come? Il problema non nell’uso ma nell’abuso. Può soccorrerci una competenza digitale bene impostata. A scuola è evidente il divieto di usare i cellulari per attività non inerenti alla didattica. Si dimentica che tale divieto può riguardare anche la lettura di un giornale o di un libro non attinente all’attività didattica che si sta svolgendo in classe.

Solo il docente, per validi motivi didattici ed educativi, tenendo conto degli indirizzi del PTOF e della programmazione del Consiglio di classe, può autorizzare l’utilizzo in classe di device come di un libro o di un giornale.

Sono stato docente anch’io e proprio per cercare di dare un senso all’impiego del cellulare a scuola con i miei studenti, stanchi sia loro sia io, di ripeterci che il cellulare è vietato, ad un certo punto abbiamo deciso di usarlo sul serio, realizzando, proprio col cellulare, alcuni filmati, a costo zero:

- Liceo delle Scienze umane “Laura Bassi”, classe V A, insieme al Liceo musicale “Lucio Dalla”, a.s. 2015/2016, Bologna, città della musica, ricerca sociale sulla storia della musica a Bologna; cfr. https://youtu.be/pprtIajL1EM.

- Liceo scientifico “Enrico Fermi”, classi IV C e III B, a.s. 2016/2017 - Fermi, Bologna! - sulla storia della città felsinea; cfr. https://www.youtube.com/watch?v=udzZQMZrogQ.

- Liceo scientifico “Enrico Fermi”, classe IV B, a.s. 2018/2019, Donne nella storia, dedicato a Santa Caterina de’ Vigri, Laura Bassi, Ondina Valla, Irma Bandiera; cfr. https://youtu.be/K8h2D9qItckcfr.

 

Sussidio didattico

 

Ancora una volta, il bene o il male non sono negli strumenti che utilizziamo ma nel modo come li utilizziamo.

Il cellulare - medium che progressivamente sta incorporando il sistema dei media: telefono, giornali, libri, radio, tv, Internet, quindi Google, posta elettronica, sms, WhatsApp, ecc. ecc. – può trasformarsi, se usato bene, anche in un sussidio didattico.

Una delle principali istituzioni culturali del Paese è la Treccani, dal 1996 è attivo il sito www.treccani.it che rende consultabile online e fruibile gratuitamente l’intera Enciclopedia.

Come spiegava Umberto Eco, nel mare magnum delle informazioni, la cultura consiste nella capacità di selezionarle. Il sapere non già il puro e semplice possesso di nozioni ma il metodo attraverso il quale saperle cercare e trovarle dove sono.

 

La Nota Fioroni

 

La Nota n. 30 del 15 marzo 2007, quasi vent’anni fa, a firma dell’allora Ministro Giuseppe Fioroni, aveva ad oggetto le Linee di indirizzo ed indicazioni in materia di utilizzo di telefoni cellulari e di altri dispositivi elettronici durante l’attività didattica, irrogazione di sanzioni disciplinari, dovere di vigilanza e di corresponsabilità dei genitori e dei docenti.

Nel 2007 eravamo ancora in un’era geologica precedente all’esplosione dei cosiddetti social network. Facebook approda in Italia nella primavera del 2008.

Tale Nota costituisce certamente un punto di chiarezza, specie laddove riconosce le autonomie scolastiche e le esorta ad aggiornare i Regolamenti di Istituto.

In essa, infatti, si spiega: “Al raggiungimento di tali finalità concorre l’autonomia scolastica, costituzionalmente riconosciuta che, avendo superato l’impostazione esclusivamente centralistica dell’educazione e della formazione del cittadino, consente alla singola istituzione scolastica di concertare, confrontarsi, costruire accordi, creare lo spazio in cui famiglie, studenti, operatori scolastici si ascoltano, assumono impegni e responsabilità, condividono un percorso di crescita umana e civile della persona”.

Sempre dalla Nota n. 30 del 15 marzo 2007: “Resta fermo che, anche durante lo svolgimento delle attività didattiche, eventuali esigenze di comunicazione tra gli studenti e le famiglie, dettate da ragioni di particolare urgenza o gravità, potranno sempre essere soddisfatte, previa autorizzazione del docente”.

 

Il ruolo del Regolamento di Istituto

 

Importante ricordare il rilievo del D.P.R. n. 249 del 24 giugno 1998, Regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, poi integrato dal D.P.R. n. 235 del 21 novembre 2007, relativo al Patto educativo di corresponsabilità.

Quindi opportuno riaffermare il valore dell’autonomia scolastica, ergo il rilievo del Regolamento di Istituto. Non c’è questione disciplinare che non comporti il presupposto, trasparente e chiaro, di regole da rispettare. Nulla poena sine lege.

Nella scuola costituzionale di diritto il provvedimento disciplinare si giustifica attraverso evidenze, verifiche, accertamento dei fatti, critica dell’errore, rispetto dell’errante, diritto alla difesa, appropriatezza delle procedure e degli adempimenti, proporzionalità, imparzialità, serenità, ponderazione, senza mai trascurare la missione fondamentale della scuola: quella educativa. I “lavori socialmente utili” sono da tempo vissuti come best practices perché sia restituito alla comunità scolastica qualcosa di corretto, positivo, costruttivo.

Si rammenta che è vigente tra l’IIS “Francesco Alberghetti” e l’Associazione di volontariato “Missione per bene ODV”, un Protocollo di intesa, sottoscritto in data 20 novembre 2023, al fine di favorire esperienze di “lavori socialmente utili” per gli studenti a seguito di sanzioni disciplinari (prot. n. 22885 del 20 novembre 2023).

 

La responsabilità educativa dei genitori

 

Torniamo alla domanda: ma i cellulari possono entrare in classe? Proviamo a ragionare.

I padri costituenti, non a caso, nel Titolo II, Rapporti etico-sociali, nell'affrontare il tema educativo, hanno proposto questa sequenza ordinata: 

 

Art. 30, primo comma:

È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli (…)”.

Art. 33, primo comma:

L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento (…)”.

Art. 34, primo comma:

La scuola è aperta a tutti”.

 

Primo comma degli articoli 30, 33, 34. Per tre concetti chiari, espressi con icastica brevità, successivi e coordinati tra loro. Prima viene la responsabilità educativa dei genitori, i quali la delegano alla scuola, che condivide con i loro figli un tempo limitato, circoscritto ad una porzione della giornata.

Prima, dopo ma anche durante il tempo-scuola, c’è la responsabilità educativa dei genitori.

 Poi la libertà di insegnamento; nel presupposto di una scuola aperta a tutti (punto bene collegato all'art. 3, sempre della Costituzione, di “eguaglianza sostanziale” e di “non discriminazione”).

 

Autonomia e responsabilità

 

Torniamo alla domanda: i cellulari possono entrare in classe? Dipende. Se servono alla didattica, perché no? Se non servono alla didattica, perché sì? Quando i cellulari non servono alla didattica devono rimanere spenti.

Ma la scuola deve educare all’autonomia e alla responsabilità. Per questo la consegna o il ritiro dei cellulari rischia di essere poco centrato dal punto di vista educativo. Per non dire dei rischi che una scuola, in totale buona fede, in tal modo, si assume.

E se, per un qualsivoglia motivo, l’i-phone di uno studente, moltiplicando il fattore-rischio a buona parte di quei circa 40.000 plessi scolastici relativi alle circa 8000 istituzioni scolastiche autonome, specie nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, una volta affidato alla custodia della scuola, cade e viene danneggiato, cosa succede e a carico di chi?

Attenzione alle scorciatoie e alle semplificazioni.

Attenzione a perdere di vista il senso delle priorità, ovvero, in una scuola fondata sul principio di precauzione, ad aprire varchi al rischio, per quanto eventuale, di contenzioni, di cui non si avverte alcun bisogno.

 

Coscienza e maturità

 

Quando, alcuni anni fa, non senza enfasi mediatica, è emersa l’idea, caldeggiata da un istituto scolastico privato bolognese, del sequestro dei cellulari, saggiamente il Prefetto di Bologna ha precisato che “l’autonomia scolastica va sempre rispettata in tutte le sue manifestazioni”. Osservando che: "Sarebbe opportuno che gli studenti mantenessero il cellulare e sapessero usarlo, che avessero la coscienza e la maturità di sapere quando il cellulare può essere usato e quando invece può essere non usato". Ancora: “Un po’ quello che avviene per noi quando partecipiamo a un convegno o a una riunione - ha spiegato ancora il Prefetto - certo non ci mettiamo lì con il telefonino e se ci arriva una telefonata o un messaggio lo rinviamo a un momento successivo. Credo che bisogna lavorare su questo, sull'educazione all'uso del cellulare”.

Meglio non si poteva dire. Ci sono profili istituzionali dotati di una coscienza educativa che fa ben sperare a favore dell’equilibrio con cui certe questioni devono essere poste, non per essere ignorate, per essere efficacemente risolte.

          Perché un cellulare non entri in classe una soluzione, non priva di una certa radicalità, in fondo, ci sarebbe: basterebbe che rimanesse a casa. Un nuovo Patto educativo di corresponsabilità potrebbe considerare una soluzione del genere, sarebbe un’occasione per evitare il fraintendimento che la scuola debba farsi carico di questioni che riguardano anche la scuola, ma non solo la scuola. Oppure si potrebbe convenire che i genitori provvedessero al controllo parentale sul cellulare del figlio, bloccandone l’utilizzo durante l’orario scolastico. O ancora, i genitori potrebbero valutare a quale età procedere all’acquisto di un cellulare per i loro figli, così come si fa nel caso dell’acquisto di un motorino.

 

Un libro dell’USR per l’Emilia-Romagna

 

Qualche anno fa uscì un libro promosso dall’USR per l’Emilia-Romagna con questo titolo: Il Digitale a scuola in Emilia-Romagna, L'attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale in epoca di lockdown e di emergenza sanitaria, prefazione di Stefano Versari, presentazione di Bruno E. Di Palma, per i tipi di Tecnodid, Napoli, 2022.

Collana “I Quaderni dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna”. Quaderno n. 49, luglio 2022. Coordinamento redazionale di Chiara Brescianini. Contributi di Roberto Agostini, Gabriele Benassi, Roberto Bondi, Rosa Maria Caffio, Alessia Cavazzini, Maurizio Conti, Luca Farinelli, Chiara Ferronato, Chiara Fontana, Giovanni Govoni, Ivan Graziani, Rita Marchignoli, Luigi Parisi, Elena Pezzi, Silvia Pirini Casadei, Gianfranco Pulitano, Stefano Rini, Alessandra Serra, Elisabetta Siboni, Manuela Valenti, Vittoria Volterrani[3].

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Marconi, da progetto a servizio

 

Una storia ispirata alla figura di Guglielmo Marconi (25 aprile 1874 – 20 luglio 1937), il quale, nel 1895, a ventuno anni, dopo una serie di esperimenti, realizzò la prima comunicazione a distanza mediante onde elettromagnetiche, “scoprendo” così il telegrafo senza fili.

All’inizio del secolo, al 1901, risale una delle sue imprese: quella di unire ulteriormente, sulla scia di Cristoforo Colombo, ciò che precedentemente era diviso: la vecchia Europa e il mondo nuovo, l’America, grazie al primo collegamento telegrafico attraverso l’Atlantico.

Come già si è visto, secondo il sociologo canadese Marshall McLuhan (quello del “villaggio globale”), l’epoca moderna sarebbe legata all’invenzione della stampa a caratteri mobili: la “galassia Gutenberg”. Quella contemporanea alle scoperte di Guglielmo Marconi: la “galassia Marconi”.

Marconi contribuisce a dischiudere l’era che dalla radio arriva al cellulare, il medium dei media, destinato a incorporarli tutti: radio, tv, telefono, computer, con Internet, posta elettronica, social network.

 

Docenti per i docenti

 

Quindi, dapprima, nella prima metà degli anni Novanta, si dà un Progetto Marconi, nell’ambito dell’allora Provveditorato agli Studi di Bologna. Il primo focus operativo orientato sull’inclusione: viene, infatti, costituito l’“Ufficio H” dedicato all’integrazione della disabilità.

Poi diventa Servizio Marconi T.S.I. (Tecnologia per una Società dell’Informazione), che, dal 2009, è operativo a supporto delle scuole dell’Emilia-Romagna in tema di tecnologie e innovazione digitale, sino alla più recente Équipe territoriale che lo affianca in un lavoro di formazione e accompagnamento su tutto il territorio regionale finalizzato allo sviluppo del Piano Nazionale Scuola Digitale e al consolidamento delle competenze digitali e didattiche dei docenti.

Il Servizio Marconi T.S.I. nel tempo ha sviluppato un’ampia azione di aggiornamenti e approfondimenti sia con gli apprezzati corsi in “Sala Ovale”, presso la sede dell’USR per l’Emilia-Romagna, sia con interventi attuati “sul campo”, scuola per scuola, per il loro aggiornamento digitale.

Da ciò si evince che la didattica digitale integrata non è una novità legata alla pandemia e che anzi sarebbe opportuno distinguere la vicenda Covid dall’esigenza di metodologie didattiche innovative sorte ben prima del Covid.

 

La presenza come parte, non come tutto

 

Il tema vero non è presenza versus distanza, analogico versus digitale, cartaceo versus online: ma se la didattica possa permettersi di continuare ad essere solo trasmissiva o si possa immaginare un maggiore protagonismo da parte di chi apprende, non solo grazie, ma anche grazie alla competenza digitale.

Il Covid non ha fatto che accentuare questioni preesistenti. Proprio per questo è un’illusione pensare di tornare a prima. La strada, al contrario, è volgere lo sguardo verso un orizzonte di attese di cui la competenza digitale non può che essere componente essenziale.[4]

 

Biro e Bic

 

Evitiamo le risposte estemporanee, che rispondono al “qui e ora”, nell'immediatezza, senza visione, senza progetto. C'è una questione educativa gigantesca. In tale questione si colloca il tema dei cellulari. Ma il tema va ben al di là di questo specifico aspetto. Dobbiamo guardare avanti, alla scuola che viene, alla scuola che verrà.

La mia generazione ha conosciuto, nelle scuole elementari, l’uso del pennino con i “bidelli” che, indossando un camice nero, con un mestolo versavano l’inchiostro nei calamai dei nostri banchi. Quindi è arrivata, in occasione di un compleanno o della prima Comunione, una stilografica.

Poi quella straordinaria invenzione della penna a sfera, la Bíró o la Bich. Frutto di un’idea del giornalista ungherese László József Bíró, nato il 29 settembre 1899 a Budapest (ed è in suo onore che viene comunemente chiamata biro).

La leggenda narra che guardando una palla uscita da una pozzanghera, Bíró notò la traccia d’acqua che lasciava sul terreno asciutto; accostò questa immagine ad una traccia d’inchiostro pensando di poter inserire una piccola pallina di metallo all’interno della punta di una penna. Con questo sistema, la distribuzione dell’inchiostro sulla carta durante la scrittura sarebbe risultata omogenea, ovviando all’inconveniente delle macchie lasciate dalle penne stilografiche.

La produzione della penna a sfera iniziò in Argentina, dove fu oggetto di vari perfezionamenti che riguardavano sia l’inchiostro che la pallina metallica. La penna di Bíró venne da lui brevettata nel 1943, ma gli elevati costi di produzione lo portarono a cedere il brevetto ad un imprenditore italiano naturalizzato francese, Marcel Bich, il quale riuscì a mettere in produzione la penna a sfera riducendone drasticamente i costi.

Il 29 ottobre 1945 venne messa in commercio per la prima volta in un grande magazzino di New York. Il nome della penna venne così associato a Bich, divenendo di fatto bic. La sua diffusione arricchì notevolmente Bich, a differenza di Bíró, che invece morì povero a Buenos Aires il 24 novembre 1985.

 

L’universo degli elettrodomestici

 

La mia generazione ha vissuto la trasformazione dell’ambiente domestico con il progressivo inserimento degli elettrodomestici. Il primo frigorifero. La prima lavatrice. La prima lavastoviglie. Il primo televisore. La radio c’era già. Il primo rasoio elettrico. Il primo microonde. Tutti strumenti al nostro servizio, non noi al loro, che si usano quando servono. A Bologna con i lavori per il tram è stato scoperto il torrente – il Canale di Reno - che per percorre via Riva Reno, tombato nella seconda metà degli anni Cinquanta: vi sono immagini che ritraggono signore che vi lavavano, sino a quell’epoca, i panni. Oggi, ovviamente, sarebbe inimmaginabile. La nostalgia romantica verso il passato si arresta di fronte alla fatica che comportavano un tempo lavori domestici oggi delegati agli elettrodomestici.

 

Dagli zaini alle chiavette USB

 

Quando all’Università fui coinvolto nella redazione delle riviste di cui era direttore il mio professore e maestro, Luciano Anceschi, dapprima lavorai con macchine da scrivere Olivetti, poi acquistai, già alla fine degli anni Ottanta, il primo computer. Segno di buona educazione scrivere ancora lettere personali a mano. Segno di competenza digitale saper usare, correttamente, ogni possibile device.

Oggi i nostri studenti sono gravati da enormi zaini da portare faticosamente sulle spalle. Non occorre essere degli indovini per comprendere che il tempo degli zaini a scuola, se non i giorni, ha gli anni contati.

Il processo in atto di smaterializzazione, di transizione dal cartaceo al digitale, avrà conseguenze anche sulla dipendenza della scuola pubblica dall’industria privava dei testi scolastici e, quindi, della moda dello zaino, non poco costoso, specie se “griffato”.

Una chiavetta USB, da tenere comodamente in tasca, potrà alleggerire le schiene dei nostri studenti e consentire a non pochi docenti di rinunciare all’ingombro a scuola dei trolley.

 E qui è anche una rilevante questione di profilo sociale: nuovi testi autoprodotti dalle istituzioni scolastiche in formato digitale possono comportare sostanziosi benefici per le famiglie, specie per quelle con minore capacità di spesa. Per non dire di una maggiore attrattività, il che non significa minore serietà, ma maggiore efficacia, nel fare scuola, sviluppando ulteriori azioni di contrasto alla dispersione.

 

Conclusioni rigorosamente provvisorie

 

          So bene che Internet è una tecnologia che ha proprie peculiarità, più che un semplice strumento a nostra disposizione, si tratta di un “mondo”. So bene che i device contengono al contempo il bene e il male. Quindi vanno governati. Esiste una netiquette. Un’educazione online analoga a quella che dovrebbe regolare i rapporti tra le persone in presenza, cosa che non sempre accade.

È evidente che occorre promuovere un’educazione all’uso consapevole, responsabile, critico del cellulare come del p.c. La scuola dovrebbe servire anche a questo.

Certamente vi è una questione in ordine all’età in cui si possono o non si possono fare certe cose. Sinora anche le posizioni più caute hanno fissato l’asticella della proibizione a scuola dei device al primo ciclo (cioè sino alla scuola media).

Mi rendo conto che c’è un problema relativamente al Biennio di una scuola secondaria superiore: per questo c’è un Regolamento di Istituto così come un Regolamento specifico che disciplina l’uso del cellulare a scuola, Regolamenti che possono essere rivisitati, aggiornati, integrati.

Credo, in ogni caso, che occorra tenere la barra dritta sulla missione educativa. Per questo condivido molto l’idea di promuovere, come comunità scolastica, come ha proposto il Presidente del Consiglio di Istituto Raffaello De Brasi nella lettera che mi ha trasmesso il 6 maggio scorso, iniziative educative bene orientate sulla competenza digitale.

 

Marco Macciantelli

                                                 Dirigente scolastico IIS “Francesco Alberghetti”

 



[1] Cfr. Luciano Floridi, Pensare l'infosfera, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2020.

[2] Cfr. E. R. Curtius, Das Buch als Symbol, in Europäische Literatur und lateinisches Mittelater, 2^ ed. riv., Bern, Francke, 19738 (1948), cap. 16, pp. 306-52

[4] Cfr., in particolare, Pier Cesare Rivoltella, a cura di, Apprendere a distanza. Teorie e metodi, Milano, Raffaele Cortina Editore, 2021.